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Uno sguardo sul narcisismo

Uno sguardo sul narcisismo 1200 630 Oliviero Rossi

in Psicoterapia della Gestalt

 

In psicoterapia della Gestalt il narcisismo non è solo un disturbo, un tratto di personalità, o un atteggiamento, ma un modo di essere. A partire da questo lo psicoterapeuta della Gestalt, insieme al suo paziente, ricerca e integra parti del sé frammentate e/o scisse perché non accettate, al fine di riorganizzarle in un tutto unico e vivo.

Il respiro della coppia

Il respiro della coppia 1200 630 Oliviero Rossi

Il respiro della coppia

Il lavoro con le coppie in Psicoterapia della Gestalt

 

In Psicoterapia della Gestalt il “paziente” coppia viene definito e considerato un sistema, un organismo a tre. L’IO, il TU, e il NOI. L’Io incontra e sperimenta un Tu, in questo incontrare e sperimentare l’altro l’individuo percepisce, sperimenta, proietta, agisce/reagisce in un nuovo livello che è ben di più della semplice somma delle parti Io /Tu. A tale livello nella sua qualità e quantità prende il nome di Noi.
Questo Noi si presta facilmente ad essere il contenitore non solo dei processi creativi e sani degli individui, ma diviene il contenitore preferenziale e l’agente primario di ciò che concerne la disfunzionalità relazionale della coppia.

Una coppia respira quando all’interno del NOI, il movimento di vicinanza e allontanamento dell’Io e del Tu rimane armonico, fluido e costante.

Videoterapia a scuola

Videoterapia a scuola 150 150 Oliviero Rossi

A cura di: Oliviero Rossi, Katia Botticelli, Daniela Cardamoni, Serena Rubechini

Fra le principali variabili di tipo individuale, la mancanza di motivazione al successo scolastico,  difficoltà a livello di socializzazione, incapacità di esprimere i propri bisogni e carenze emotivo-affettive nel processo di apprendimento. L’eccessiva distanza che si viene a creare tra ciò che viene insegnato e ciò che appartiene alla vita e agli interessi dello studente fa sì che il ragazzo non riesca a trovare né la giusta motivazione né la giusta collocazione all’interno della scuola.

Combinandosi tra loro, tali fattori determinano una grande varietà di situazioni problematiche che espongono l’adolescente al rischio di insuccesso e di disaffezione nei confronti della scuola, contesto all’interno del quale si incrociano esperienze ancora in fieri necessarie per la costruzione della futura identità. Leggi di più

Sguardi e immagini: video e fototerapia

Sguardi e immagini: video e fototerapia 150 150 Oliviero Rossi

Osservare una fotografia implica compiere un atto percettivo rivolto ad una rappresentazione che però, in quanto foto/cinematografica, è indice di qualcosa  nel tempo e nello spazio reale. Nell’osservazione di una foto ritroviamo due livelli percettivi: con il primo, osserviamo il campo ambientale individuandone gli elementi che lo compongono come appartenenti ad esso; nel caso di una foto inserita in quel campo percettivo (ad es. la foto è sul tavolo), vedremo questa, ad un livello, come elemento del campo nella sua fisicità di foglio di carta colorata, o in bianco e nero; ma una volta che quel foglio di carta viene identificato nell’ atto percettivo come fotografia, ci relazioneremo ad essa in un modo diverso in quanto, a questo punto, questo atto sarà rivolto verso un elemento identificato come rappresentazione di qualcosa, avvenuta da qualche parte. Nella sua accezione denotativa questa immagine\rappresentazione non spiega ma rimanda l’osservatore indicando un luogo e un tempo in cui è stata prodotta; in un certo senso, la percezione diventa una quasi percezione in quanto le caratteristiche fisiologiche dell’atto indubbiamente rimangono, ma avviene una trasposizione del percepito (ad esempio, la foto di un tramonto in bianco e nero, che oggettivamente è una scala dei grigi impressi nella carta fotografica, non viene interpretata in quanto tale ma percepita come se fosse realmente quello che raffigura): la persona che sta guardando la foto, ad un certo livello, sa che ciò che osserva è solo l’impronta di ciò che è avvenuto altrove; ad un altro livello, la funzione di rimandare viene quasi dimenticata e, se la foto è significativa per se stessa, evocherà delle attivazioni percettive ed emotive come se la persona si ritrovasse realmente lì.   Parlare di lavoro con le immagini (video e fotografiche) nella terapia significa, quindi, inserire nella relazione terapeutica oltre alla dimensione del “come se…” una dimensione “quasi percettiva” che predispone al confronto con la propria esistenza e con la modalità di condurla. L’immagine foto/cinematografica si inserisce nel campo percettivo con la stessa evidenza di ogni altro oggetto percepibile ma apporta all’atto del vedere anche qualcosa “di meno” (in questo caso non vengono attivate le azioni[1]  che un evento reale attiverebbe) e “di più” allo stesso tempo; se la persona sa che quello che sta guardando è una fotografia o un video tenderà a trattare l’immagine come indice di qualcosa di esistente o di esistito; nella misura in cui l’immagine è anche una rappresentazione narrativa ed espressivamente efficace, può diventare significativa per la persona, e attivare un vissuto molto intenso e del tutto particolare. È su questo vissuto che poggia, all’interno della relazione terapeutica, il lavoro di ristrutturazione della mappa emotiva/cognitiva del cliente. Nel vedere l’immagine, infatti, la persona accederà ad un ventaglio di risposte evocate da quello che sta guardando e dal vissuto costruito e/o ri-costruito in questo atto (se osservo, ad esempio, la fotografia di un insieme di persone che riconosco come la mia famiglia o che identifico come una famiglia, il vissuto legato a ciò che sto osservando darà forma al mio atto percettivo). Il lavoro terapeutico consiste nell’interagire con questa costruzione o nel co-costruire insieme al cliente la narrazione di vita che prende forma nella relazione.   Un richiamo al lavoro di Gibson è a questo punto importante. Per inquadrare il concetto presentato utilizzo la sintesi di C. Pennacini (Pennacini C., 2005):

“Per Gibson il sistema visivo, e più in generale la percezione sensoriale, è comprensibile solo nel rapporto con l’ambiente, o meglio con un ambiente dato. Quando Gibson parla di ambiente, o talvolta di habitat, vuole riferirsi a un concetto di natura relazionale e non a un concetto assoluto. L’ambiente non esiste di per sé, non è il mondo fisico dotato di caratteristiche a sé stanti. L’ambiente, afferma Gibson, è un concetto non dualistico che si definisce nella relazione tra soggetto osservatore e la realtà osservata, i quali costituiscono nel loro insieme un sistema complesso (nel senso della teoria dei sistemi, Gibson, 1986, p. 35) in questa concezione «animale e ambiente formano una coppia inseparabile» (ibidem, p. 42), generata per l’appunto dai processi percettivi. Fondandosi sulla teoria dell’evoluzione, Gibson considera la percezione come un processo centrale nell’adattamento all’ambiente. Si tratta di un sistema complesso […] che integra, attraverso parziali ma importantissime sovrapposizioni, i cinque organi di senso: «ci viene detto che la visione dipende dall’occhio, che è connesso al cervello. L’ipotesi che avanzerò è invece che la visione naturale dipende da occhi posti in una testa che sta su un corpo che poggia sul suolo, e che il cervello è solo l’organo centrale di un sistema visivo integrato». (ibidem,  p. 33) […] attraverso questo sistema, l’ambiente con la sua forma visibile (cui Gibson si riferisce con il termine layout) interagisce profondamente con i suoi abitanti. In termini evolutivi ciò implica una modificazione degli organi e dei sistemi ad essi connessi in una particolare forma adattativa; in termini individuali e culturali il processo dà luogo a differenti forme di adattamento percettivo (e cognitivo)” (Pennacini, C., 2005, p. 24) Leggi di più

Foto e videoterapia nella relazione d’aiuto

Foto e videoterapia nella relazione d’aiuto 150 150 Oliviero Rossi

La terapia della Gestalt: alcuni principi e tecniche

«La qualità più importante ed interessante di una forma è la sua dinamica, la necessità imperiosa che una forma possiede e che la porta a chiudersi e a completarsi. Tutti i giorni sperimentiamo questa dinamica. A volte il miglior nome che si può dare ad una forma incompleta è di chiamarla semplicemente situazione inconclusa» (Perls, 1969, p. 131).

Fritz Perls, partendo dagli studi sulla psicologia della forma, ha elaborato una teoria psicodinamica dove ad assumere importanza è l’esperienza del soggetto, ossia il punto di vista della persona che percepisce. In un’ottica che vede la realtà non più come oggettiva ma come il risultato di un’operazione attiva da parte del soggetto percipiente, oggetto di attenzione e di studio diventa il rapporto intercorrente tra la realtà così come la percepisce l’individuo e le reazioni dell’ambiente circostante all’interno del quale l’individuo stesso è inserito. Se tra mondo percettivo della persona e contesto di appartenenza si viene a verificare una discrepanza tra le intenzioni, le motivazioni, le spinte del soggetto e le risposte dell’ambiente, si crea un conflitto, un disadattamento che necessita di un intervento. L’esperienza del soggetto, infatti, viene considerata dalla Gestalt come una successione di relazioni figura-sfondo in cui i bisogni specifici del momento emergono rispetto al contesto per poi svanire, una volta soddisfatti, ed essere sostituiti da nuove configurazioni. All’interno di questo quadro di riferimento, il conflitto psichico nasce nel momento in cui il bisogno non viene soddisfatto e la Gestalt, quindi, non viene completata. Il benessere, invece, è frutto della presa di consapevolezza, da parte della persona, del continuo processo di formazione, dissoluzione e riformulazione della forma cui è soggetta, di volta in volta, la propria esistenza a seconda del contesto in cui si trova ad esprimersi e alle differenti configurazioni che quest’ultimo assume nelle diverse situazioni. Leggi di più