La Psicoterapia della Gestalt ha introdotto molti concetti nell’ambito delle psicoterapie umanistiche. Uno di questi riguarda la partecipazione fenomenologica all’esperienza e il modo in cui il terapeuta e il cliente fanno esperienza l’uno dell’altro nella relazione terapeutica. Nell’approccio fenomenologico la realtà emerge nella relazione tra l’osservatore e l’osservato: non è un dato definito a priori e una volta per tutte ma è, piuttosto, una ‘interpretazione’.
La fenomenologia nasce come metodo di indagine obiettiva della realtà, allo scopo di costruire una conoscenza che colga le caratteristiche invarianti dei fenomeni studiati. Essa implica una conoscenza sovra sensoriale o categoriale che colga l’essenza del fenomeno o l’ordine preciso che lo sostiene. L’approccio fenomenologico esistenziale specifico della psicoterapia della Gestalt è un’integrazione tra la fenomenologia esistenziale di Edmund Husserl e la fenomenologia della Psicologia della Gestalt. Husserl (Husserl 1913) sviluppò il metodo fenomenologico come un modo per separare le invarianti dell’esperienza dagli elementi interpretativi che vi si sovrappongono (Spinelli 1989).
Tutti i fenomeni mostrano delle regolarità che appaiono in combinazioni e sequenze ripetute. Tali regolarità possono essere descritte e modellizzate al fine di fornirne una spiegazione e permetterne il controllo e la predizione. La conoscenza scientifica non è altro che la costruzione di modelli che tentano di spiegare le regolarità dei fenomeni. È, inoltre, impossibile trascendere il nostro modo di conoscere e comparare ciò che appare (fenomeni) con ciò che è, ovvero l’essenza degli oggetti (noumeni). Nel processo fenomenologico operano tre regole fondamentali: la prima, e la più importante per la psicoterapia della Gestalt, riguarda il ruolo dell’epoché: sospendere ogni speculazione sulla verità o falsità di una qualsiasi interpretazione della realtà; la seconda concerne la descrizione: la realtà va descritta e non interpretata, il che significa fornire una descrizione imparziale delle impressioni immediate e concrete di ciò che accade; la terza, detta della parità, tratta dell’orizzontalizzazione: evitare qualsiasi assunzione gerarchica in merito all’importanza relativa di ciò che viene descritto.
Separando l’esperienza dall’interpretazione e considerando la descrizione dettagliata di una data esperienza, è possibile valutare il peso dell’evidenza ed avanzare una serie di ipotesi che permetteranno di selezionare quella che, meglio di ogni altra, è in grado di spiegare i dati. Una tale ‘apertura’ all’esperienza consente una maggiore flessibilità, dal momento che ogni costrutto teoretico avrà validità solo fino a quando risulterà essere la spiegazione più consistente e comprensiva dei fatti per come appaiono. La traslazione del metodo fenomenologico nel setting terapeutico richiede che lo psicoterapeuta osservi attentamente il modo in cui il cliente si rivela (la scelta delle parole, lo stile narrativo, il linguaggio corporeo, il tono della voce, il tono emozionale, etc.). In base a ciò, il terapeuta suggerisce possibili esperimenti o esplorazioni che amplifichino determinati aspetti del contenuto narrato e può fare chiarezza sulle connessioni tra diversi elementi dell’esperienza riportata dal cliente. Di particolare rilevanza, come accennato sopra, è il principio dell’epoché: al terapeuta non interessa se il cliente racconta la verità sulla sua storia bensì il significato che egli attribuisce a ciò che racconta. Pertanto, il compito terapeutico è, almeno parzialmente, ermeneutico.
Più complessa è l’applicazione terapeutica del principio di parità: se nella conoscenza scientifica l’attribuzione di pari importanza ai dati è, entro certi limiti, possibile, questo non è altrettanto praticabile e, persino, desiderabile nella relazione terapeutica. Ciò impedirebbe, infatti, di costruire il senso di quel che avviene con il cliente o di intervenire in modo costruttivo nel processo terapeutico. Pertanto, per quanto il principio di parità costituisca un orientamento importante per il terapeuta, esso è soggetto a distorsioni intenzionali a fini terapeutici. Piuttosto, il principio di parità (equality) riguarda maggiormente l’atteggiamento dello psicoterapeuta nei riguardi dei suoi stessi insight, impressioni, ipotesi di lavoro e significati che emergono dal lavoro terapeutico: lo psicoterapeuta non aderisce rigidamente ad alcuno di essi né si ‘aggrappa’ a categorie diagnostiche o a procedure predefinite: nella psicoterapia della Gestalt fenomenologico esistenziale l’assessment del cliente è continuo e continuamente oggetto di revisione nel corso del processo terapeutico.